La prima cosa importante da specificare rispetto all’ansia è che fa parte della nostra vita.
Esiste, infatti un tipo di ansia, definita ansia di stato, che si presenta in ognuno di noi in occasioni diverse, saltuariamente: si tratta di quella sensazione di formicolio alla pancia, magari lo stimolo frequente ad andare in bagno, una leggera tachicardia, secchezza delle fauci o difficoltà a stare seduti in momenti particolari della nostra vita, momenti che possono essere anche piacevoli, come ad esempio il giorno del matrimonio, della laurea, oppure quando dobbiamo sostenere un colloquio per noi importante o, ancora, ne attendiamo l’esito.
Questo tipo di ansia si percepisce in momenti in cui lo stato di arousal, cioè l’attivazione, deve restare alto perché la situazione richiede la nostra massima attenzione.
Ognuno di noi, prima o poi, ha sperimentato questo tipo di ansia nella sua vita.
Diversa è l’ansia di tratto, quel filo di stato tensivo costante che accompagna in maniera pressoché permanente alcune persone, sempre preoccupate, sempre all’erta, come se dovessero tenere sempre tutto sotto controllo.
Questo tipo di ansia rappresenta per queste persone un tipico tratto di personalità.
La sintomatologia ansiosa clinicamente significativa, invece, può presentarsi sotto varie forme, in diverse situazioni più o meno definite e può colpire chiunque in qualunque momento della vita. Può permeare alcuni periodi temporali circoscritti o presentarsi in forma acuta in talune determinate situazioni, sottoforma di attacco d’ansia, spesso erroneamente confuso con l’attacco di panico.
Secondo il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), che tra l’altro non comprende la definizione di attacco d’ansia, l’attacco di panico è un disturbo diagnosticabile secondo criteri ben definiti, caratterizzato da picchi di malessere e disagio raggiunti in brevissimo tempo, pochi minuti, che comprende, come detto sopra, sintomi fisici e cognitivi.
Il termine “attacco d’ansia”, sebbene non sia effettivamente un disturbo diagnosticabile in termini clinici, viene usato generalmente per indicare quelle situazioni in cui sono presenti sensazioni di malessere e disagio o preoccupazione per uno stimolo percepito come ansiogeno, ma tali sintomi non soddisfano clinicamente i criteri per la diagnosi di attacco di panico.
Il termine ansia indica un insieme di reazioni cognitive, comportamentali, emotive e fisiologiche in risposta ad uno stimolo percepito come minaccioso; la percezione di tale stimolo, reale, pensato, immaginato, scatena dunque uno stato di attivazione che comporta una serie di reazioni fisiologiche che possono variare tra tensione, tremori, sudorazione, aumento della frequenza cardiaca, nausea, palpitazioni, vertigini, fino a percepire dolore toracico, sensazione di soffocamento o mancanza di respiro (fame d’aria), sensazioni di essere estranei a se stessi (depersonalizzazione) o di sentirsi estranei alla realtà (derealizzazione).
Questi stati ansiosi possono manifestarsi in forma acuta e spesso possono indurre ad una visita in pronto soccorso per via della similarità con alcuni sintomi tipici degli attacchi cardiaci. Naturalmente è sempre prudente non sottovalutare i sintomi di carattere fisico ed è opportuno che sia uno specialista ad effettuare degli esami per giungere ad una corretta diagnosi, tuttavia, una volta escluse patologie prettamente organiche e stabilita la natura psicologica dei sintomi, non bisogna cadere nell’errore di sottovalutarne la potenza.
Se è vero, infatti, che sintomi fisiologici causati da uno stimolo percepito come ansiogeno non sono da ricondursi a patologie organiche pericolose, è altrettanto vero che le sensazioni provate sono reali, le reazioni corporee sono reali, la paura che il soggetto percepisce è reale e, proprio come si farebbe di fronte ad un problema cardiaco, è necessario intervenire per dare voce alle paure, alle preoccupazioni, ai bisogni, alle cause inascoltate che hanno portato ad una sintomatologia ansiosa.
In questi casi è consigliabile rivolgersi ad un professionista della salute mentale che, in seguito ad un attento colloquio preliminare, saprà consigliare il miglior percorso per ritrovare il proprio benessere.
Il colloquio clinico psicologico di stampo rogersiano si concentra sull’ascolto empatico del paziente e necessita di un profondo investimento emotivo e relazionale da parte sia del cliente che del terapeuta.
Generalmente le prime sedute sono improntate all’anamnesi della situazione e alla raccolta delle informazioni necessarie all’analisi della domanda del paziente.
In seguito psicoterapeuta e cliente concordano un percorso congruo al raggiungimento degli obiettivi fissati.
L’esperienza di un percorso psicoterapico è molto profonda e personale, ogni percorso è a sé, motivo per cui non sono previsti “pacchetti” prefissati ma ogni persona viene accolta, considerata e trattata nella sua peculiarità ed unicità.
Articolo a cura della Dottoressa Amanda Rossini, Psicologa