Questo articolo intende far luce sulle relazioni cliniche e biomeccaniche che vengono a crearsi quando si parla di postura e dolore. Molto spesso si sente dire che una determinata postura arrechi i famigerati “acciacchi” di mezza età, o che una determinata posizione nel corpo sia più dannosa rispetto ad un’altra, o ancora di non poter effettuare un certo movimento perché altrimenti l’ernia provoca e rievoca il dolore del paziente, ma sarà davvero cosi?
Per mezzo delle Linee Guida internazionali e della letteratura scientifica presente al giorno d’oggi sui principali siti di ricerca si cercherà di indagare su quegli aspetti misconosciuti del macrocosmo che è la postura, o meglio, dei rapporti reciproci che vengono a crearsi nel momento in cui si pensa che una determinata postura sia colpevole di un certo tipo di dolore e che essi siano in stretta relazione di causalità fra di loro.
Lo scopo è inoltre quello di fornire all’utenza del Centro Medico Polispecialistico Fisioterapico di Cantù la sicurezza e la tranquillità che vengono a mancare nel momento in cui il paziente si ritrova costretto ad affrontare una patologia arrecante dolore, e molto spesso invalidante, non solo da un punto di vista cinematico ma anche e soprattutto da un punto di vista bio-psicosociale.
Occorre innanzitutto dire che non esiste una postura perfetta ma soltanto una postura ideale, o meglio, un allineamento ideale che secondo Florence Peterson Kendall & Elizabeth Kendall Mccreary le curve normali della colonna consistono in una curva convessa anteriormente(lordosi) a livello del collo, in una curva convessa posteriormente(cifosi) nella regione superiore del dorso e in una curva convessa anteriormente(lordosi) nella parte inferiore della schiena o regione lombare. Di seguito viene riportato l’allineamento ideale secondo Kendall:

Figura 1: Allineamento ideale in veduta sagittale
Nella veduta laterale, la linea di riferimento standard nelle illustrazioni e il filo a piombo rappresentano la proiezione della linea di gravità nel piano coronale. Questo piano divide ipoteticamente il corpo in una porzione anteriore ed una posteriore di peso equivalente. Queste sezioni non sono simmetriche e non è evidente alcuna linea di divisione alla base delle strutture anatomiche.
Tuttavia dalle ricerche è emerso che anche se un soggetto dovesse, a grandi linee, identificarsi e che fosse possibile misurare la vicinanza a questa postura cosiddetta ideale, ciò non significherebbe a prescindere che egli non sarebbe soggetto a patologie a carico della colonna vertebrale e dunque con ogni probabilità anche a dolore. Analogamente un soggetto con una postura “scorretta” non è detto che debba necessariamente sviluppare dolore o che la causa del suo dolore sia dovuta alla sua postura asimmetrica, perché come dimostrato da Sanne Toftgaard Christensen, Jan Hartvigsen; Curve spinali e salute: una revisione critica sistematica della letteratura epidemiologica che si occupa delle associazioni tra curve vertebrali sagittali e salute.
Gli scopi di questo studio erano di determinare se le curve della colonna vertebrale sagittale sono associate alla salute negli studi epidemiologici, di stimare la forza di tali associazioni e di valutare se è probabile che queste relazioni siano causali.
Conclusioni: le prove derivanti da studi epidemiologici non supportano un’associazione tra le curve della colonna vertebrale sagittale e la salute, incluso il dolore spinale. Ulteriori ricerche di migliore qualità metodologica possono influenzare questa conclusione e gli effetti causali non possono essere determinati in una revisione sistematica.

Un’altra problematica piuttosto frequente tra le persone, giovani e adulte che siano, è il fatto di temere che la posizione della propria colonna vertebrale venga sollecitata in modo sbagliato e disfunzionale assumendo delle posizioni che apparentemente sembrano rievocare il dolore del paziente o che predispongano la schiena a subire danni di natura strutturale e funzionale, o ancora che possano favorire la fuoriuscita di un’ernia in maniera del tutto improvvisa o recidivante. In questa sezione dell’articolo si cercherà di demistificare questo mito, facendo come sempre ricorso alle ricerche e agli studi attualmente presenti in letteratura.
È essenziale che il paziente comprenda fin da subito che con ogni probabilità il suo dolore non sia specificatamente dovuto ad una determinata patologia come ad esempio l’ernia discale, la quale può anche manifestarsi e decorrere in modo del tutto asintomatico ma che il dolore sia evocato dal fatto che la colonna vertebrale non sia stata sottoposta ad un adeguato carico di lavoro per troppo tempo.
Di seguito viene riportato uno studio che riporta la correlazione tra la postura, erroneamente vista come sbagliata dalla maggior parte dell’ utenza, e la sua correlazione con il mal di schiena o più precisamente con l’aspecific Low Back Pain come dimostrato da Daniel Cury Ribeiro et. Al.
Gli obiettivi erano di valutare l’evidenza di una relazione di dose-risposta tra ROM (arco di movimento) , durata e frequenza della flessione del tronco e rischio di LBP professionale.
È stata condotta una ricerca sistematica elettronica utilizzando i database Medline, Cumulative Index to Nursing and Allied Health Literature, EMBASE e Scopus incentrati su studi di coorte e caso-controllo. Gli studi sono stati inclusi se si sono concentrati sull’LBP non specifico e sull’esposizione posturale, considerando la ROM, la durata o la frequenza della flessione del tronco come variabili indipendenti. Non è stata imposta alcuna restrizione linguistica. Gli studi inclusi sono stati valutati per il rischio di parzialità usando la scala Newcastle-Ottawa per gli studi osservazionali e viene presentato un riassunto delle prove.
Risultati: sono stati inclusi otto studi e tutti sono stati classificati metodologicamente come di alta qualità. Gli studi inclusi hanno prodotto un totale di 7023 soggetti che sono stati considerati per l’analisi del rischio. Sono state adottate diverse misure di esito per l’esposizione posturale rendendo difficile eseguire la meta-analisi
Conclusioni: non è stato possibile trovare una chiara relazione dose-risposta per le esposizioni posturali sul lavoro e LBP. Sono state trovate prove limitate per ROM e durata della postura flessa sostenuta come fattore di rischio per LBP. Non abbiamo trovato prove per la frequenza della flessione del tronco come fattore di rischio per LBP.

I lettori più attenti si saranno chiesti per quale motivo allora quando mi piego ho mal di schiena? O come mai una determinata posizione mi rievoca il dolore? Non essendoci correlazione attendibile, come dimostrato, nei casi di mal di schiena aspecifico (dunque non di natura periferico-radicolare come la famigerata “sciatica”) il principale colpevole della manifestazione del dolore appare dunque essere l’inattività prolungata. Non è la posizione del tronco ad essere sbagliata, anche perché la colonna vertebrale fisiologicamente è nata per sorreggere lo scheletro assile e per muoversi sia in flessione che in estensione (senza necessariamente mantenere una costante lordosi come l’ affondo in squat per raccogliere un oggetto da terra ) durante un piegamento, ma è il fatto di non essere più allenati o funzionalmente adattati a svolgere quel determinato compito fa sì che i muscoli appartenenti al tono posturale e basale del rachide si indeboliscano e creino compensi disfunzionali che a lungo andare provocheranno schemi motori errati con una possibile comparsa di dolore se non prontamente trattati (solitamente nella zona lombare). Una postura apparentemente “scorretta” non è una condizione necessaria per sviluppare mal di schiena. Cosi come una postura “corretta” non è detto che non provochi low back pain. Sforzi continui e ripetuti in maniera disfunzionale senza che la muscolatura sia pronta a reggere il carico può essere la condizione necessaria e sufficiente per sviluppare mal di schiena (non sciatica).
Dalla mia personale esperienza ho potuto constatare, osservando i pazienti in diversi centri medici e sportivi, l’importanza di guidare il paziente verso la conoscenza della sua reale condizione tenendo conto non solo degli aspetti biofisici ma anche e soprattutto di quegli aspetti bio-psicosociali che tendono a creare nel paziente un’idea sbagliata della propria condizione e quindi a determinare negativamente l’esito della prognosi. Un altro consiglio che fornisco sempre ai miei pazienti è quello di evitare posizioni disfunzionali prolungate, ma se possibile di muoversi e cambiare la posizione specialmente nei lavori da scrivania, per il nostro corpo è più conveniente intervallare ed integrare le posizioni statiche con del movimento puro, come può essere alzarsi per fare due passi piuttosto che eseguire una anti e retroversione del bacino e cosi via. Personalmente credo che la strategia che potrebbe vicariare al meglio il ritorno in salute del paziente sia di far conoscere al paziente sé stesso e il suo corpo in movimento nello spazio affinché possa rendersi conto di come la propria colonna vertebrale possa trovare giovamento e sollievo semplicemente tornando a muoversi secondo gli schemi dell’evoluzione, della biomeccanica e della fisiologia.
Articolo a cura del Dottor Andrea Frigerio